TEXTES TRANSMIS PAR LECTEURS ET ANIMATEURS

MARAT E LO SPIRITO POLITICO
Mars 2018
       © POLENORDGROUP

Traduzione di Stefania Di Pasquale
della postafazione scritta da Jacques de Cock e Charlotte Goëtz-Nothomb, 
editori delle «Œuvres Politiques de Jean-Paul Marat 1789-1793»
POLE NORD, Bruxelles, 1988-1995



























Stefania Di Pasquale

Questa traduzione è stata supervisionata dalla dottoressa Silvana Valenti.

Le scritte in italico sono le citazioni di Marat

Sembra che sia inevitabile per l'uomo, di non essere libero da nessuna parte.
Ovunque i principi marciano per il dispotismo, e i popolo alla servitù.

Punto di partenza: una tesi pessimista
La storia di tutte le società fino ai nostri giorni è la storia del despotismo. Se l'uomo è nato libero, ma ovunque è in catene, al massimo può tenere il ricordo delle sue origini. Segnata da una perfettibilità che la distingue dalle altre specie animali, la specie umana ha dunque, dall'inizio della sua storia, il sentimento di fare la propria sventura. Tale è la logica centrale, implacabile dell'opera Le Catene della Schiavitù, questa è la filosofia politica nella quale Marat si fonda dal 1774, a quella a cui si appoggia la sua azione rivoluzionaria tra il 1789 e il 1793.

Come è possibile fondare una dinamica storica su un tale pessimismo? Porgere questa domanda, e in questa maniera, non è già dare una risposta ? Per l'Amico del popolo, è questo pessimismo che lo obbliga a non progettare l'azione come una rottura, ma mandare un cambiamento nella traiettoria che viene seguita dagli umani fino ai giorni nostri. Quanto sembrano inappropriate oggi le parole di uso corrente, dal momento che il termine rivoluzione ricopre etimologicamente un movimento che ritorna sempre al suo punto d'origine, che inizia, si sviluppa, finisce e ricomincia! Sarebbe più esatto parlare di METAVOLUTION.

Ma su cosa fondare un tale movimento ? Per Marat, capiremo, che nessuna necessità spinge l'umanità ad avanzare in questo sorpasso, di conseguenza l'azione «rivoluzionaria» può svilupparsi soltanto andando contro corrente.
Per rimanere sulla terminologia in uso, non troviamo nell' Amico del popolo una storia della Rivoluzione, ma bensì una storia della Contro-Rivoluzione.

Dalla sera del 14 luglio, la sola e vera preoccupazione di tutte le politiche sarà di richiudere il circolo del potere, dando l'illusione di dare dei sviluppi alla rivoluzione. 
Anche il primo capitolo che Marat aggiunge alle Catene della Schaivitù, riguarda le giornate che seguono il 4 agosto 1789, quando scrive:

«Quand sera jamais terminé le grand œuvre de la Constitution ? Ne nous y fions pas, on cherche à en reculer l’époque jusqu’à ce qu’on ait trouvé quelque moyen de s’y opposer, on cherche à nous endormir, on cherche à nous leurrer.»
«Quando terminerà la grande opera della Costituzione ? Non fidiamoci, cercheranno ad indietreggiare in qualsiasi modo e di opporsi, per poi tentare di addormentarci e di illuderci.»

La politica moderna
A dispetto di questa rottura immediata che rappresenta un momento, la Rivoluzione francese, viene descritta spesso tutt'altro che aperta come lo affermano i manuali scolastici. Fu, invece, un'epoca nuova nella politica moderna che conferma, al contrario delle grandi tendenze, e i movimenti secolari, che il potere dispotico, piuttosto che mettersi in sella tramite la violenza e l'oppressione , impara ad usare poco a poco l'astuzia, la furbizia e la corruzione.
Questo movimento lo si trova nel trattato politico di Marat del 1774, ed é quello di mostrare che per stabilire il dispotismo su delle basi sicure e permanenti, i governanti devono fare in modo che il potere non sia percepito come la fonte dei disordini sociali, ma al contrario, come un ricorso per i cittadini che, credendo di salvarsi, reclamano sempre più dispotismo.

Il popolo vede nel potere di Stato non l'origine dei suoi mali ma, un rimedio alla sua miserabile condizione. Questa è la principale preoccupazione, la funzione principale di una inteligentia che Marat ha battezzato con il nome di «Ciarlatani moderni». 

Il ruolo di questi «Ciarlatani» politici consiste nello stabilire scientificamente che il popolo non sarebbe libero dal suo destino fino a quando i potenti affermano che vogliono il suo benessere. Sarà molto importante questo ruolo di opposizione a tutti gli ordini intermediari sui quali il dispotismo si è appoggiato sollevandosi, ma dei quali vorrebbe disfarsi, per assicurarsi la sua onnipotenza. Col pretesto di potersi attaccare a dei modelli obsoleti, e a vecchie istituzioni, i «Ciarlatani» sabotano cosi, senza sfaccettature, tutte le istituzioni (corporazioni, istituzioni religiose, autorità giudiziarie ecc...), senza sostituirli. 
Essi «corrodono» la vita civile e arrivano a convincere i cittadini che solo le regole sono suscettibili di apportare loro la sicurezza, che solo i servizi pubblici possono occuparsi dei loro diritti, dei loro affari, dei loro corpi e delle loro vite. Cosi allontanano progressivamente gli uomini da tutte le responsabilità, disgustandoli dal «dovere» di vigilanza nei confronti di chi e di che cosa. Avendo persuaso i popoli a depositare il loro avvenire nelle mani falsamente amiche, secondo l'immaginario di Marat, verrebbero trasformati in agnelli consegnando le loro sorti ai lupi, mandandoli poi a deporre le armi. 
Allora, la passione per la vita civile e la libertà fanno posto alla passività, alla vita reclusa, alla sottomissione e alla disperazione.

«La schiavitù, prodotta a mano armata, è uno stato violento, durante il quale il governo riceve delle forti scosse dai popoli che cercano di riscoprire la loro libertà; allora lo Stato è simile ad un corpo robusto che scuote spesso le catene, talvolta le spezza, ma per poi rimettere i popoli in catena. Più sicuro ricondurli poco a poco alla schiavitù, addormentandoli, corrompendoli, e facendo loro perdere perfino l'amore e il ricordo dell'idea di libertà. Allora lo Stato è un corpo malato, come un veleno che lentamente penetra e consuma , un corpo languido che è curvo sotto i pesi della sua catena e che non ha più la forza di rialzarsi. Sono questi i modi artificiosi che impiega la politica per portare i popoli a questo stato spaventoso. Ed é quanto mi propongo particolarmente di sviluppare in tale opera.»

L'idea per Marat s'inasprisce. Pensa che gli Stati moderni, come l'Inghilterra, ma sopratutto la Francia di Luigi XIV e di Colbert, anziché centrarsi sulle virtù e l'onore, preferiscano l'espansione del lusso tramite la fondazione di stravaganti leggi o di altre tasse, colpendo il commercio e le arti, cercando di far credere che cosi facendo si vada verso la «civilizzazione». Alla logica di un potere di tipo autoritario di tali Stati, sostituiscono quella della persuasione, appoggiata su una pretesa logico economica dei bisogni sociali, della seduzione appoggiata al prestigio, a piaceri, alla ricchezza. Uscendo i popoli dal regno della violenza, questi Stati moderni li immergono in un'altra forma di barbarie centrata sulla degenerazione. 

Con codesta concezione, sempre cosi difficile da far capire - giustamente perché ha tutto il potere del fascino del lusso e dell'illusione del benessere - Marat ha simboleggiato il tutto coll'immagine dei « fiori» che ricoprono le nostre «catene» per nasconderle:

«En faisant le charme de la société, les arts que le luxe nourrit et les plaisirs qu’il promet nous entraînent vers la mollesse, ils rendent nos mœurs plus douces, ils énervent cette fierté qui s’irrite des liens de la contrainte. Et, étendant des guirlandes de fleurs sur les fers qu’on nous prépare, ils étouffent dans nos âmes le sentiment de la liberté et nous font aimer l’esclavage.»

«Facendone il fascino della società, le arti, il lusso nutrito e i piaceri che egli promette, ci trascina verso l' inerzia, rendendo i nostri modi più dolci, innervosendo questa fierezza che s'irrita al contatto di contrarla. E, stendendo le ghirlande di fiori sui ferri che ci prepara, soffocano nelle nostre anime il sentimento della libertà e facendoci amare la schiavitù.»

La servitù volontaria
Già familiare a Rousseau nel suo Discorso sulle Scienze e le Arti, questa concezione aveva messo in furore una gran parte del clan degli Illuministi. Il grande mito dell'educazione delle masse, la loro eredità maggiore, riposava sull'idea che bisogna «rendere coscienti» gli uomini, facendoli passare dal regno della superstizione a quello della ragione. Nel momento preciso in cui si apre questa ideologia (Jean-Jacques e Marat seguono interamente questo punto,) tutto è rimesso nelle mani dei soggetti stessi, (lo si vede nell'opera L'Emilio). Quindi sono affidati al popolo sviluppo ed educazione.

Se consideriamo che l'avvento del pensiero illuminista, che la mentalità della sinistra vogliono correggere tramite regole di Stato e in nome delle preoccupazioni sociali, la crescita dei movimenti economici centrati sul denaro, allora certamente Marat non è un uomo di sinistra. Poiché, in questa questione anche di un intervento, di una regolamentazione della vita sociale, vede l'inverso di un movimento correttore, vede peggio del male che vogliamo combattere: una suggestione sviluppata, uno schiavismo mascherato, a volte più spaventoso se richiesto dagli stessi schiavi.

Di fronte agli Stati e ai processi di demobilizzazione che cercano di instaurare, le società civili devono mantenere intatte la loro vitalità e le loro opposizioni interne, fonti di vita. I popoli devono penetrarsi dell'idea che hanno un tempo i governi che li meritano, e devono evitare di ritrovarsi interamente modellati dagli Stati. Ciò sarebbe il peggior declino.

Gli eventi che marcarono gli anni 1789-1793 confermano e stendono i caratteri dei governi dispotici già conosciuti da secoli e dunque - perché ci si dimentica così velocemente ? - ricordare che s'installa puntualmente con la brutalità e la violenza, la suggestione, sotto la copertura del bene pubblico. 
Il lusso e la corruzione agiscono molto di più e durano molto più a lungo rispetto alle bacchettate e alla tortura, così cambiando metodo di schiavizazione, l'appropriazione indebita si ingrandisce e s'infiltra ovunque.

In breve Marat dice,
«Le pouvoir se dépouille de la peau du lion pour revêtir celle du renard.»
«Il potere si spoglia della pelle del leone per poi indossare quella della volpe.»

Quanto ai suoi agenti, la loro forza è, 
«di lasciare il tono insolente di despota per assimilare il linguaggio del seduttore, della beneficenza e della giustizia. Timidi lupi che si travestono con la pelle di agnello.»

Ma se il popolo si ostina nella rivolta, vedremo la contro-rivoluzione arrivare da un'abile strategia, da disorganizzare totalmente lo stato, lasciando tutto in preda all'anarchia e alla guerra civile. Allora con lo sconforto, lo scoraggiamento, il popolo si rimetterà a desiderare la schiavitù.

«Dopo lunghi dissensi, spesso il cittadino, stanco dei disordini che agitano e desolano lo Stato, si rigetta nelle braccia di un leader e cerca di riposarsi nella servitù.»

Questo intento di desiderare una guida, Marat lo aveva percepito molto presto nella Rivoluzione Francese e più di una volta annuncia, che produrrà un nuovo Cromwell. In questo movimento che porta alla servitù volontaria, distingue molti piani. Uno di essi, importante da identificare, è il momento in cui i cittadini si mettono a dubitare delle loro capacità. 

Ciò viene immediatamente sfruttato dagli uomini di potere.

«… ils se servent de ses vertus réelles pour lui donner des torts apparents; et comme ils en sont les juges, ils le punissent de leur propre perversité. Ils s’écrient ensuite les premiers que le peuple est le jouet des intrigants, cherchant de la sorte à le dégoûter de la liberté qu’ils lui rendent laborieuse.»
«… si servono delle loro virtù reali per dargli dei torti apparenti; e dato che ne sono i giudici, li puniscono della loro propria perversità. Si scrive poi che il popolo diventa il gioco degli intriganti, cercando così di disgustarlo della libertà che li rende laboriosi.»

Il disgusto per la libertà è il tema centrale della teoria della «Contro-rivoluzione francese». Marat la fa emergere nella seconda versione delle Catene della Schiavitu. dove accorda ad essa un posto specifico. Il testo è cosi aspro e violento che la versione del 1774 è poco adatta per le menti fredde, ed apporta sulla questione della servitù volontaria e sulla questione della guerra (civile ed esterna) degli sviluppi che non compaiono ancora nel testo precedente. Marat dunque ha tendenza a vedere il ciclo del dispotismo riformarsi completamente, poiché trionfa dalla furbizia, dall'astuzia e depravazione sulla servitù volontaria. 
Ma…

Se non esiste un motivo preciso, nessuna necessità, nessuna determinazione particolare può spingere l'umanità ad andare verso l'idea di libertà e di progresso, ma non impedisce nemmeno un ritorno indietro se le forze non si uniscono. Uno sconvolgimento di tutte le determinazioni è prevedibile anche per gli uomini al potere che, oltrepassando i loro diritti, sconfinando i limiti che si erano prefissati, arrivando a nuocersi, a sabotarsi e ad aprire la porta a delle situazioni che non si possono più controllare. 

Questi movimenti convulsivi, queste correnti che si incrociano, che si ricoprono oppure si cancellano, queste alleanze che si fanno e si disfano, Marat le integra con bella maestria in queste descrizioni della vita politica, e offre dei 'quadri' presi da una tonalità molto shakesperiana:

«C’est un étrange spectacle que celui d’un gouvernement politique. On y voit, d’un côté, les hardis desseins de quelques ambitieux, leurs audacieuses entreprises, leurs indignes menées et les ressorts secrets qu’ils font jouer pour établit leur injuste empire. 
De l’autre, on voit les nations qui se reposaient à l’ombre des lois, mises aux fers; les vains efforts que fait une multitude d’infortunés pour s’affranchir de l’oppression et les maux sans nombre que l’esclavage traîne à sa suite. 
Spectacle à la fois horrible et magnifique, où paraissent tour à tour le calme, l’abondance, les jeux, la pompe, les festins, l’adresse, la ruse, les artifices, les trahisons, les exactions, les vexations, la misère, l’exil, les combats, le carnage et la mort.»

«È uno spettacolo strano quello di un governo politico. Ci vediamo, da una parte, degli arditi disegni di qualche ambizioso, le loro audaci imprese, le loro indignose condotte e i loro segreti, in cui giocano per stabilire il loro ingiusto impero. 
Dall'altra, vediamo le nazioni che si riposano all'ombra delle leggi, messe ai ferri; i vani sforzi che fa una moltitudine di infortunati per affrancarsi dall'oppressione e dai mali, che la schiavitù si trascina dietro. 
Uno spettacolo a sua volta orribile e magnifico, dove sembra che ci siano la calma, l'abbondanza, i giochi, i festini, la furbizia, gli artifici, i tradimenti, le vessazioni, la miseria, l'esilio, i combattimenti, i e la morte.»

Nella concezione di Marat, il momento in cui la «Rivoluzione» sembra più lontana dando l'impressione di essere l'inquadratura nel circolo che sembra si appresti a prendere una svolta decisiva, nello stesso istante c'e il rischio che gli schiavi richiamino in modo più ardente le loro catene, a volte a causa del senso d'instabilità e di ebbrezza dei loro successi, portando però i tiranni a soffiare sulla tempesta che li porterà nell'abisso. 

Così in questo mondo «orribile e magnifico» che dovrà iscrivere l'azione di «rivoluzionario», sempre a caccia di un'eventuale sconfitta in cui potrà scendere nei panni di un Argus vigilante, lottando passo dopo passo per la situazione che una volta aperta, non si ferma più.

Due scuole di pensiero politico 
La prima delle due grandi scuole del pensiero politico del XVIII° secolo, fondata da Locke, considera il potere di Stato come un risultato di un patto sociale generale, nel quale tutti gli uomini riconoscono che è loro interesse comune regolare i conflitti diversamente dalla violenza. La tradizione anglo-sassone vede nella violenza originale una tentazione permanente della specie umana e dandosi come primo oggetto di fondare la legittimità del politico contro il ritorno minacciante della barbarie.
Questo tema, fondamentale in questa dottrina, è stata popolarizzato nella tematica della democrazia, opposta alla barbarie e al fascismo.
Diversamente, nella tradizione fondata da Montaigne e La Boétie, ripresa e sviluppata poi da Montesquieu e Rousseau, la legge è il prolungamento della forza, il diritto è sempre, e prima di tutto, il diritto del più forte. È per questo che Marat, che s'iscrive in questa tradizione, è fondamentalmente refrattario a tutta la legittimità del potere. Inoltre, Montesquieu ha stabilito il principio che tutta l'istituzione politica ritorna presto o tardi contro lo scopo assegnato all'inizio. 
Così il diritto del più forte, si nasconde al meglio sotto l'aspetto del bene generale. Così questo diritto del più forte, poichè si nasconde al meglio sotto l'aspetto del bene generale, si può contraddire e può, nel suo sviluppo divenire no strumento di libertà. 
Per un nuovo rovesciamento Marat mostra a sua volta che, quando la Legge è antagonista del dispotismo, il «dispotismo legale» istituito dalla contro-rivoluzione francese, è una delle peggiori varietà della servitù.

Il pessimismo di Marat è un fenomeno politico che lo portò ad attingere a delle soluzioni anarchiche, spezzare il legame politico, e riportare gli uomini nelle loro comunità naturali ? 
No, ritornare alle origini è impensabile, l'uomo non dispone di una macchina che torna nel tempo. 

Marat è totalmente riluttante ad una storia all'inverso. Se lui si serve delle situazioni del passato è a titolo di esempio in senso pedagogico e non in senso nostalgico.

Se lui si serve delle situazioni del passato è a titolo di esempio in senso pedagogico e non in senso nostalgico. Resta dunque a scomettere sulla sola uscità possibile, incerta per l'umanità, quella che consente a farala passare per la cruna di un ago, o meglio, a farla varcare  con un salto nell'abisso al bordo del quale lo salvaguarda il despota. Questa soluzione è definita nella problematica della Sovranità.

Costituire la Sovranità
Il concetto di Sovranità è un concetto politico centrale per Marat. Se il comune dei mortali ascolta da un monarca il concetto di Sovranità, è senza dubbio perchè i despoti stessi, nel corso dei secoli per sbarazzarsi dei loro rivali, hanno edificato la loro sovranità contro il popolo. Ma resta a noi stabilire la nostra vera natura. Come costituire un Sovrano ? Questa è la domanda che perseguita Marat. Inoltre, come costituirlo in una situazione dove il peggioramento dello Stato ha vinto il suo stesso corpo sociale ?

Nel linguaggio politico contemporaneo, il governo è divenuto sinonimo di totalità di Stato. Raggruppa tutti i poteri e la stretta separazione tra questi, ammessa nel XVIII secolo, sembra far parte di un tempo passato. Questa amalgazione nella teoria politica attuale ha presto fatto dedurre l'inesistenza del corpo sociale sovrano. Perché questa domanda posta da Marat: Come costituire un Sovrano ? sembra così inutile. Pertanto c'e da riflettere, ciò che è incredibile, è che non abbiamo più le parole da porgere a questa questione importante, sulla quale, al contrario, bisogna ritornare ad insistere.

Va da sé che in qualsiasi Stato di una certa dimensione, l'esecutivo deve essere centralizzato, che può, anche in gravi circostanze, essere rivestito per un momento di una forza (funzione del tribunato), il punto di partenza di una posizione politica corretta è di sapere che la sua propensione, cosciente ed incosciente, dalla natura dei poteri che gli arriva tra le mani, sarà di impadronirsi della Sovranità a suo profitto, e dal servitore del Sovrano di trasformarsi in sovrano lui-stesso.

La falsa soluzione a questo problema è di volere che il popolo partecipi a tutte le decisioni, ciò che manderebbe a scartare l'artigiano dal suo atelier, il paesano dai suoi campi, il commerciante dai suoi banchi. Se non c'è un buon esecutivo, la soluzione non risiede pertanto nel fatto di sopprimere l'agente ed efficace organo centrale oppure di complicarne all'infinito gli ingranaggi, al punto che tutta la decisione diventa impossibile e gli orientamenti ritornano così a svuotare la Sovranità della sua sussistenza, rendendola inefficace. 

Il vero problema è quello di agire in maniera che il potere esecutivo resti sotto la protezione del Sovrano, e che sia mantenuto al suo servizio. Questa questione è la sola che deve tenere le menti sveglie e vigilanti. Se i cittadini non vigilano e si lasciano scappare il controllo dell' esecutivo e dei suoi rappresentati, la servitù viene ristabilita nuovamente. 
Per assicurare la vitalità dell'esercizio di questa Sovranità, nessuna regola, nessuna ricetta teorica, nessun testo, nessuna Costituzione, nessuna legge possono offrire di garantirla sufficientemente. 

Tutto può pervertirsi. Solo il pensiero di azione, il pensiero senza riposo mantiene in vita questa questione essenziale, con più o meno di acutezza, secondo le circostanze.

Un pensiero in azione
Al centro della sua riflessione, dall'inizio della Rivoluzione Francese, Marat ha dunque introdotto la questione delle finanze. Fu uno dei primi a valutare i beni della Chiesa - i beni dei poveri !- il nuovo regime si è dotato di immensi metodi per corrompere la maggior parte degli uomini talentuosi. Fu anche uno dei soli ad esigere senza discontinuità il riordinamento dei conti dei ministri uscenti, opponendosi alla loro dimissione, tanto che non sono stati prosciolti da tale obbligo. La situazione vissuta durante la Rivoluzione Francese nell'anno I è veramente catastrofica ai suoi occhi; da un lato, è portata da una fazione di uomini corrotti di due precedenti legislature, e dall'altro, è consegnata da gente incompetente, cialtrona, inefficace. 

La questione del controllo delle finanze è cosi posta da Marat come preliminare a tutte le risoluzioni della problema della Sovranità. La liquidazione del debito dello Stato è la sua rivendicazione di tutti gli istanti, perché non ignora che senza controllo sui mezzi che può mettere in opera il potere esecutivo, il Sovrano resterà una parola vuota di senso. La critica di Marat si basa su delle misure concrete e permanenti, con conseguenze immediate ed inseparabili. La prima versione dell' opera Le Catene della Schiavitù (Chains of Slavery) è scritta nel mentre di importanti elezioni in Inghilterra, la seconda versione al momento della caduta della monarchia francese. Marat chiama costantemente dei suoi auguri dei veri uomini di Stato che non trattano la politica in «professionisti». Ripete che ciò che manca sempre, è un uomo di genio che sappia prevedere gli eventi, calcolare l'azione e la reazione dei resoconti messi in gioco e prendere delle grandi misure. 

Nella Rivoluzione Francese, nessuno ad eccezione di Marat propose delle misure concrete, immediate, che mirassero a volte ad assicurare la libertà di opinione, di riunione, l'armamento dei cittadini, la responsabilità dei ministri o degli agenti dell'esecutivo ecc... senza pertanto che fosse possibile a partire dalla costruzione di un sistema ideale di governo. Perché ? 
Perché la legge in materia politica è quello del rovesciamento di tutte le determinazioni. Ciò che oggi, in un contesto preciso, riveste un senso eminentemente positivo e favorisce la libertà, può domani trasformarsi in strumento di dispotismo.

Questa lezione fondamentale, Marat l'ha presa da Machiavelli, e il termine di «Principe» è una parola chiave delle Catene della Schiavitù. Il pensiero politico di Marat è dunque specificamente anti-utopistico. Lo stabilimento della libertà non può dipendere da alcuna ricetta, ma deve specificare costantemente, negativamente, degli imperativi. 

Non c'è un mezzo di fondarla senza la separazione dei differenti poteri, senza il controllo delle Finanze, senza l'armamento del popolo, senza libertà di stampa... Riuniti, tutte le misure non rimpiazzeranno mai «il movimento della libertà» in quanto potranno sempre essere aggirati. 
E' questa fluidità che ha tanto irritato gli Illuministi, definendo Marat come un uomo contraddittorio e inconseguente. Essi ritenevano più logico ridurre la politica ad un piano amministrativo delle cose. Li dove invece sia Rousseau che Marat prevedevano la problematica della libertà degli uomini. Marat agisce dunque come stratega, segue tappa per tappa gli eventi e i protagonisti, prevede i prossimi colpi, si aspetta i raggiri, i bruschi voltafaccia, il gioco dell'usura, senza trascurare per tanto il caso, che appella con il nome di «provvidenza».

Difatti è strano, almeno di considerarli una volta per tutte come dei veritieri ingenui o dei veri nemici, che i commentatori ed esegeti del suo tempo e gli storici e analisti del nostro, non si siano mai preoccupati di trovare una coerenza, ma altri hanno fatto lo sforzo di riconoscere una reale capacità di previsione e il quasi dono della sua doppia vista, poiché l'Amico del popolo lo considerarono un Cassandra, cioè un profeta !

No, non c'è il miracolo Marat, né il genio Marat, e non c'è nemmeno il pazzo arbitrario che non pensa altro che ad emanare bollettini rossi su tutte le autorità che camminano, semplicemente perché non abbiamo riconosciuto il suo valore ! Che attacco mediocre quando consideriamo per esempio, su la questione della monarchia, questa sua doppia affermazione che' un buon principe è il più bel regalo dal cielo, ma che è anche una merce rara, come lo è il libertino virtuoso ! Marat si riferisce risolutamente a Luigi XVI dopo il tradimento di quest'ultimo (la fuga a Varennes e il massacro del Champ de Mars). E anche la stessa rottura con il suddetto re non significa che consideri che «tutta» la monarchia sia, per forza, peggio di un altro regime.

Marat non sarà nemmeno repubblicano né monarchico. I suoi attacchi o la sua vigilanza si esercitano nei confronti degli atti del potente  esecutivo. È la ragione per la quale prenderà talmente a cuore il suo ruolo di deputato alla Convenzione che lo difenderà come organo di rappresentanza – «Unità e Indivisibilità » - tutto contro la mente delle fazioni che vogliono tentare la dissoluzione.

Dalla presa della Bastiglia, Marat, contrariamente ai tanti entusiasti della prima ora, si muove negli eventi senza alcun trionfalismo, senza illusione, armato della sola convinzione che un combattimento molto duro si è aperto. Persuaso della permanenza e della potenza del movimento della contro-rivoluzione, del quale conosce per formazione i giri e i rigiri, esamina con la più grande prudenza e con un'estrema vigilanza i fatti degli uomini al potere. Non ignora che per rimettersi in sella, il nemico non esiterà ad impiegare a suo profitto gli stessi materiali che sono sfociati dagli eventi più entusiasmanti. Se necessario, il despota parlerà come la rivoluzione, si calerà nei suoi pensieri e sposerà le sue maniere. Il s'immischierà nelle assemblee, li disaggregherà e li manipolerà. Comprerà le teste pensanti e rovinerà la libertà di stampa. E sopratutto, farà servire le leggi per riattaccare le catene.
 
Marat decodifica la serie dei mezzi messi in opera da tutti i regimi - che incorpora sotto il termine generico di «dispotismo», precisando bene che sono le maniere più che cronologiche o le etichette che gli interessano. Così questi governi possono essere ogni Principe: imperatore, dittatore, aristocratico repubblicano, capo popolare, democratico.... questo non è essenziale. Descrive un mostro poliforme e tentacolare e questa apprezamento è evidentemente ciò che lo differenzia totalmente dal movimento dei pensatori del suo tempo: Enciclopedisti, riformatori, economisti, fisiocratici... tutti cercano di «addomesticare» la bestia, tagliando ad essa gli artigli, trasformandola in un animale da circo oppure costruendo ad essa bestia una gabbia dorata.

Oui, il existe aujourd’hui au milieu de nous un despote à cent têtes, cent fois plus redoutable que le dictateur le plus absolu, un monstre politique qui réunit la puissance exécutive à la puissance législative, qui a dans ses mains tous les ressorts de l’autorité, qui tient à ses ordres une armée de 10.000 hommes autour de nos murs et au-dedans une armée non moins nombreuse dont une partie paraissait prête à égorger au moindre signal les intrépides défenseurs du peuple, un monstre politique assez puissant pour soulever contre nous nos frères […] et, ce qui ne se vit jamais sous le plus affreux despotisme, un monstre assez puissant pour tenir la vérité captive.

Si, oggi esiste in mezzo a noi un despota a cento teste, cento volte più temibile del dittatore più assoluto, un mostro politico che riunisce la potenza esecutiva alla potenza legislativa, che ha nelle sue mani tutte le competenze dell'autorità, che tiene ai suoi ordini un esercito di 10.000 uomini attorno ai nostri muri e all'interno una armata non meno numerosa della quale una parte sembrerebbe pronta a sgozzare al minimo segnale i coraggiosi difensori del popolo, un mostro politico molto potente per sollevarci contro i nostri fratelli [...] e,ciò che non si vive mai sotto al più spaventoso dispotismo, un mostro abbastanza potente da tenere la verità nascosta.

La via che traccia Marat è quella di un'umanità in costruzione che deve operare un ritorno alla situazione e alla dimensione della sua storia passata. Una situazione dove l'uomo, lontano dall' essere guidato da ciò che è stato, deve trascendersi e approdare a una terra incognita. 

Ne consegue all'evidenza che il problema non può ridursi a delle misure sociali o d'ipotetico cambiamento di regime. A cosa può ben cambiare gli uomini, poiché coloro che li rimpiazzano cadranno presto nei medesimi costumi ? Tutti gli utopisti del XVIII secolo e XIX secolo non hanno mostrato a sazietà che costruendo i loro mondi ideali, non fecero altro che riprodurre il nostro, visto sotto un angolo inusuale ?

A cosa tentare di descrivere ciò che i nostri occhi non possono vedere, poiché sono gli occhi che bisognerebbe cambiare ?